Non si può certo
dire che la “classe di mezzo” sia noiosa, né tecnicamente soffocata da un
regolamento apparentemente non troppo permissivo dato il mono-gomma ed il
motore unico, visto che le gare si concludono spesso in volata, con un nutrito
gruppo di giovani e giovanissimi piloti, al massimo poco più che ventenni,
pronti a giocarsi tutto per finire sul podio – vedi Marquez con Espargarò.
Tuttavia, rispetto
alla vecchia 250, manca quel patos legato alla Marca, ad una determinata Casa
costruttrice che identificava un certo pilota piuttosto che un altro.
E questo
perlomeno finché sono rimaste in lizza Suzuki, Yamaha e Honda, perché negli
ultimi anni, exploit di Aoyama a parte nel 2009, il Campionato era diventato un
monomarca Aprilia, o Gilera che dir si voglia. I non più
giovani si ricorderanno sicuramente dell’accoppiata Cadalora – Honda, che portò
il campionissimo modenese al titolo nel 1991 e nel 1992 con la squadra gestita
da Erv Kanemoto, ma anche dell’alloro iridato di John Kocinski con la Yamaha
Marlboro nel 1990, per non parlare in anni successivi del poker iridato di
Biaggi con Aprilia e Honda a metà anni novanta, o l’iride di Capirossi con l’Aprilia
nel 1998, conquistato di forza con quell’entrata non molto ortodossa effettuata
dal romagnolo sull’allora compagno di squadra Testuya Harada durante il Gp di
Argentina, di cui ancora si parla nei Bar e nelle osterie che si trovano lungo
la Statale che porta al Passo del Muraglione. E che dire, poi,
della storica impresa di Spencer nel 1985 con la Honda? Quando fu capace di
vincere sia in 250 che in 500? Era uno spettacolo vederlo scendere dalla
piccola NSR e salire poco dopo sulla “grossa” 500 già pronta in pit-lane. Come ha detto
Capirossi in una sua recente intervista, in 250 c’erano dei veri e propri
specialisti che militavano per tutta la carriera nella classe di mezzo, e che
se anche non hanno vinto un mondiale sono stati protagonisti di imprese
incredibili, e di gare bellissime: basti pensare al nostro Loris Reggiani, ai
francesi Ruggia e Dominique Sarron, allo spagnolo Cardus, ai tedeschi Bradl e
Roth. La 250
permetteva a questi specialisti di guadagnare bene, e di essere in ogni caso
sotto le luci della ribalta sportiva, corteggiati dagli sponsor e dalle Case:
già perché la due e mezzo era anche un bel promoter per spingere le vendite
delle 125 sportive tanto in voga nei primi anni novanta, cui tanto
somigliavano. L’invasione
spagnola del nuovo millennio sicuramente ha calmierato molto l’interesse per la
250, con l’abbandono di Case importanti come la Suzuki e la Yamaha, e con un
certo disimpegno della Honda, cosicché questi ragazzini iberici, dopo avere
vinto un paio di mondiali, se ne andavano in cerca di una sella in MotoGp,
equivalente a guadagno assicurato. Però degli
ultimi periodi della 250 rimane il bellissimo ricordo dell’alloro iridato di
Marco Simoncelli con l’Aprilia marchiata Gilera, che nessuno potrà mai più
dimenticare, perché il Sic era il Sic. La Moto2 ha
stravolto un po’ tutti questi valori sportivi, perché non vi sono più gli
specialisti di classe, ma giovanissimi che mirano soltanto alla MotoGp, e che
non hanno nessun interesse a costruirsi una carriera nella middle class, magari vincendo un paio di Mondiali. Ne è un chiaro
esempio il pur fortissimo Marc Marquez: che vinca o meno non è importante perché
il posto in HRC per la prossima stagione lo ha già assicurato, spinto dai
petro-dollari della Repsol, main sponsor
della Casa di Tokio nelle corse che contano. Stessa cosa per
Pol Espargarò, e c’è addirittura chi dice che Redding sia già in orbita Ducati. E poco importa
se vi sono piloti magari più forti, o talentuosi, perché il motociclismo di
oggi ormai è fatto di manager, di contatti, di sondaggi e di abboccamenti.Ma chi si
ricorderà, magari tra dieci anni, del Mondiale vinto in Moto2 da Toni Elias nel
2010? O da Bradl nel 2011? Io però, e chi
come me è oltre i quaranta, ho ancora bene in mente le spallate tra Cadalora e
Bradl a Santa Monica nel 1991, sul rettilineo di arrivo, a oltre 240 Kmh…
RD
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